Il coro Joy Singers è da anni un punto di riferimento per la coralità pop e gospel a livello nazionale. Un repertorio che spazia dai classici gospel al contemporary gospel e propone incursioni in tutti gli stili della musica, dalla afroamericana, dal jazz al funk al soul, fino alla musica caraibica e a quella africana. Il coro ha pubblicato 6 album ottenendo unanimi consensi in tutto il territorio e vinto numerosi premi in vari concorsi. Ha collaborato con numerosi artisti tra cui: Andrea Bocelli, per il quale il coro ha inciso due brani nel CD Sogno, Kool and the Gang, Massimo Ranieri, Le Orme, Banda Osiris.
Intervistiamo il Maestro Andrea D’Alpaos che dirige il coro fin dagli inizi.
Andrea come è nato il coro Joy Singers?
All’inizio eravamo solo in 12 e ci trovavamo a provare in una soffitta in un palazzo a Venezia. Scherzosamente tra noi ci chiamavamo i 12 apostoli. Io avevo già fatto parte di diversi cori e co-diretto un coro polifonico, era il 1998. Avevo tante idee in testa ma l’unica cosa che potevo promettere ai coristi era semplicemente il mio impegno. Non avevamo grandi mezzi né contatti, ma grande entusiasmo e determinazione, che posso dire sono le nostre caratteristiche costanti ancora oggi. Mai avrei pensato che si sarebbe rivelata un’avventura così bella e così lunga. Oggi il coro è composto da circa 30 voci e 3 o 4 musicisti ai quali si aggiungono per occasioni speciali altri strumentisti, dalla sezione fiati al quartetto d’archi o magari un vibrafono e marimba! Lo scorso anno siamo stati accompagnati da una big band per ricreare l’atmosfera degli anni ’40.
Considerando che già non è semplice gestire una band di pochi elementi, raccontaci qual è il segreto per guidare e tenere unito un gruppo di 30 persone.
Tutto sta nella determinazione e nella disciplina. È necessario avere un’idea precisa di quello che si vuole ottenere e tenersela ben stretta, a mio parere questo è fondamentale per qualunque progetto nella vita. Per i coristi serve quella che chiamo e ripeto sempre: l’attitudine. Attitudine al lavoro, alla fatica, alla determinazione, al gruppo, alla disciplina, al rispetto. Per esempio io sono maniacale per quanto riguarda gli orari delle prove, la puntualità è imprescindibile in un gruppo. Chiaro che non essendoci vincoli o contratti le persone vanno motivate, coinvolte, va creato un senso di appartenenza. Due anni fa ho fatto capire loro che per lavorare meglio e per raggiungere certi obiettivi avremmo dovuto fare due prove a settimana anziché una, se ne è parlato e la cosa è stata compresa e messa in pratica.
Impegno e duro lavoro che però portano grandi risultati. Qual è stato un momento in cui vi siete veramente sentiti ripagati di tanta dedizione?
Durante la registrazione dell’ultimo album, credimi sono rimasto sorpreso io per primo dai risultati. In meno di 2 weekend il coro ha registrato 22 brani che in fase di mixaggio avranno bisogno di pochissimi interventi e soprattutto non ci saranno trucchi o “aggiustamenti” con l’utilizzo di Auto-Tune per aiutare l’intonazione. Nella mia esperienza musicale non ho mai sentito di tempistiche così brevi con la qualità che abbiamo ottenuto. Ti racconto in particolare di “African Medley” che dura quasi 10 minuti. Ho fatto scaldare le voci, raccontato la storia del brano per farli entrare nel pezzo e poi ho detto “dai, proviamo a registrare!”. Registrato tutto al primo “take”… arrivati alla fine non sapevo cosa dire, se ci ripenso mi vengono ancora gli occhi lucidi: era perfetta! Questo intendo per attitudine. Riascoltando successivamente il pezzo in sala di registrazione ho rilevato 3 punti non perfetti, che tradotto significa che in 10 minuti 3 persone su 30 hanno sbagliato 3 singole note. Un risultato incredibile. È stato chiaro come tutto il lavoro fatto nei mesi precedenti sull’intonazione avesse davvero un senso.
Poi è fondamentale motivare le persone, creare i momenti di gruppo, per arrivare a una giornata intera di registrazioni in studio bisogna creare un buon clima e farsi anche qualche sana risata.
C’è grande sintonia tra i coristi, lo si nota anche durante i momenti fuori dallo spettacolo. Come vengono inserite le persone nuove che entrano nel coro?
Sì, c’è una bella unione e mi fa piacere che si noti. Devo dire che negli anni c’è stato un continuo ricambio perché l’impegno è grande e le vite delle persone giustamente cambiano. Ma il mood di questo coro è una costante che rimane invariata. Le richieste di entrare nel coro non sono mai state molte perché c’è il pregiudizio che il livello sia troppo alto, ma prima del livello c’è la famosa attitudine. Chi entra sa che dovrà lavorare molto per mettersi in pari. Il coro è molto accogliente ma non rallenta con gli ultimi arrivati, ci sono passati tutti. La prima difficoltà è l’affrontare arrangiamenti abbastanza complessi, che curo io personalmente perché da sempre sono modellati per adattarsi al coro, quasi un paziente lavoro “sartoriale” fatto su misura. Tutto nasce dalla necessità di fare con quello che c’è a disposizione… dico sempre che bisogna realizzare la miglior ricetta con quello che si trova nel frigo! Inutile che io voglia fare una torta Sacher se ho gli ingredienti per una torta di mele. Farò una torta di mele ma sarà la torta di mele più buona che si possa fare.
In questo momento è senz’altro una fortuna che tutti i coristi abbiano delle voci bellissime. Ma io lo ripeto sempre: non mi interessa la voce incredibile, ma il suono del coro. Mi interessa l’attitudine a cantare insieme. Il complimento più bello, che riceviamo più spesso e che ci rende felici riguarda proprio la bellezza del suono, come se il coro fosse un’unica voce.
Questo è davvero lodevole, specialmente quando in un coro ci sono dei solisti.
I solisti sono sempre a rotazione, nessuno è mai garantito e comunque io ripeto sempre “bravi ma…siamo un coro”. Chi fa il solista ha l’onore di cantare davanti al coro ma il dovere di rispettarlo, non può permettersi di arrivare impreparato o sottovalutare il ruolo, forte della sua bella voce. Non vedrai mai nessuno che si atteggia, il nome del nostro coro rispecchia la nostra attitudine, cantare con gioia, senza arroganza, senza protagonismo. Siamo dei privilegiati perché è vero che lavoriamo sodo ma saliamo su un palco e c’è gente che viene a sentirci, dobbiamo sempre portare rispetto per questo, anche con l’atteggiamento.
Come vi definireste? Da quanto posso capire siete ben distanti dal voler emulare un coro gospel.
Esatto. Abbiamo esplorato il gospel, specialmente all’inizio, considera che in Italia 25 anni fa c’erano forse 2 o 3 cori che cantavano questo genere. Mi interessa la magia e l’energia di quella musica. I cori gospel americani nascono in un contesto religioso, hanno un background fatto di 300 anni di storia, di schiavitù, di cultura, per loro il gospel è uno stile di vita. Le voci nere inoltre sono diverse fisicamente e foneticamente dalle voci bianche, quindi non possiamo né vogliamo tentare di riproporre tutto questo, però possiamo ispirarci alla loro energia.
Quello che facciamo è riadattare a modo nostro i brani, senza copiare ma sperimentando. Mi piace la contaminazione tra generi. Ad esempio io adoro la musica barocca pertanto quando posso aggiungo un fugato, una variazione, una citazione, o magari una cadenza che renda omaggio alla musica rinascimentale. Ci sono brani nostri che contengono anche 4 stili diversi.
Se in un nostro spettacolo ci sono 20 brani sentirai 20 stili diversi…pop, reggae, pop elettronico, swing, jazz, blues…tutto quello che ti viene in mente noi almeno in un brano l’abbiamo sperimentato. Non voglio dire che siamo filologici, non possiamo certo competere con un coro barocco, però l’idea di rendere omaggio a quella musica ci piace. Oggi si abusa del termine “contaminazione” ma non saprei trovare altra parola per spiegarti quello che facciamo.
Ci piace far ascoltare la musica alla gente da una prospettiva diversa e così Billy Joel è diventato un samba e Elton John è diventato un valzer. E funziona! Al punto che quando riascoltiamo la versione originale di un brano rimaniamo spiazzati perché noi ormai identifichiamo quei brani con i nostri (ride!). Piace a noi e piace al pubblico che pur rimanendo sorpreso da una versione bossanova di White Christmas la apprezza e la applaude con gioia.
Il coro come prende questa continua ricerca? Ti segue sempre volentieri?
Devo dire di sì e questo mi rende molto onorato. Ho abituato i coristi ad essere curiosi a credere in questa sperimentazione, poi ovviamente non mancano nel prendermi in giro “eccolo qua con il periodo reggae” oppure “mancava proprio questo tocco di barocco” (ride!). Ma poi se le cose girano bene lo si percepisce. Non voglio peccare di presunzione ma non è raro lavorare su uno stile e sentirlo dopo qualche mese alla radio. Le cose a volte sono nell’aria basta saper ascoltare.
Come è nato il medley dedicato ai Queen?
In realtà ne avevamo già fatto uno anni fa, poi in occasione dell’uscita del film del 2018 l’abbiamo ripreso. A me questa band pazzesca ha sempre affascinato perché non si sono mai fermati a un solo genere. Quando da giovane ho ascoltato per la prima volta Bohemian Rapsody mi si è aperto un mondo, dentro c’era tutto: stupore, commozione, arrangiamenti complessi, la polifonia inglese (in inghilterra c’è una tradizione corale incredibile che parte dalle scuole). Pertanto l’idea di farne un progetto con il coro è venuta in modo direi naturale.
Durante gli spettacoli mi piace coinvolgere il pubblico perché tra i 7 brani del medley sono riuscito ad incastrarne altri 4, che vengono solo accennati ma si mescolano alla perfezione alla struttura armonica degli altri pezzi. Quindi lancio la sfida al pubblico per vedere chi li riconosce. Un modo come un altro per far ascoltare in maniera diversa, più attenta.
Raccontaci un aneddoto simpatico e un episodio emozionante di questa “vita da coro”.
Ce ne sono tanti, devo dire che ci divertiamo e se così non fosse non saremmo arrivati a festeggiare i 20 anni del coro. Fammi pensare…ecco una cosa per cui mi prendono molto spesso in giro è rimarcare quanto li ho fatti lavorare su determinati brani. Ci sono 2 o 3 pezzi per i quali ho fatto 3 o 4 arrangiamenti diversi perché alla lunga il coro magari non ha più stimoli nel cantare per l’ennesima volta un brano noto. Per farti un esempio This little light of mine l’abbiamo fatta in 5 stili diversi, tanto che quando chiedo di riprenderla in mano il coro si scatena con il sarcasmo “uh…chissà in quale stile la faremo questa volta…”, in realtà così facendo mi spingono davvero a pensare a una versione nuova (ride!).
Dobbiamo ammettere però che è bello sapere che i nostri arrangiamenti piacciono al punto che ci sono altri cori che li fanno.
E parlando di emozioni… vent’anni fa ebbi il piacere di conoscere il maestro inglese Colin Vassell e quasi non avevo il coraggio di stringergli la mano. Anni dopo le nostre strade si sono nuovamente incrociate e da tempo collaboriamo stabilmente. Ha spesso cantato i miei brani e io ho avuto l’onore di andare in Inghilterra ad insegnare miei arrangiamenti ai suoi cori. Proprio la scorsa settimana ero a Londra per registrare con lui due brani per il CD dei Joy Singers…è una bellissima amicizia nata dalla musica.
In primavera io e Colin Vassell terremo insieme un laboratorio al più importante festival europeo per cori giovanili che si tiene a Montecatini.
A proposito di soddisfazioni, so che sei anche uno dei 6 membri della commissione artistica nazionale della Feniarco a cui fanno riferimento più di 3000 cori.
Sì, un grande onore! Un bel riconoscimento per l’attività svolta con il mio coro e soprattutto una bellissima esperienza che mi ha permesso di conoscere e collaborare con alcuni tra i più importanti e preparati direttori di coro italiani, partecipando a riunioni e concerti nelle più belle città italiane, un grande privilegio.
Quali sono i vostri progetti?
Abbiamo appena concluso un progetto triennale che si chiama Love songs che ha portato alla pubblicazione di un CD. Inoltre in primavera uscirà il doppio CD di cui ti parlavo che abbiamo appena finito di registrare. Sarà un bel modo per raccontare tutti questi anni di attività: 20 brani per raccontare 20 anni, proprio nel 2020. Vi lascio immaginare il titolo!
È stato davvero difficile scegliere i brani più significativi tra gli oltre 200 affrontati in questi anni (attualmente il coro vanta un repertorio di 60 brani).
E abbiamo già in mente un altro progetto!
Sbaglio o non vi fermate mai?
No, mai, forse è un po’ un difetto perché appena raggiungiamo un risultato sono già lì che propongo al coro un nuovo progetto. Loro come dicevo prima sono dei privilegiati, ma io sono un super privilegiato perché grazie a loro e alla loro passione posso concretizzare le idee che mi creo in testa. Riesco a realizzare ciò che ho nel cuore e a condividerlo e questa è una grande fortuna di cui sono davvero grato.